Montagne in sella
La montagna è sempre stata una calamita. Sin da quando ero piccola. Mio padre ha cominciato a portarmi in passeggiata da quando ero una poppante. Non ho ricordi nitidi, ovviamente, delle prime escursioni, vista la tenerissima età. Ma è nitido il ricordo stampato sulle foto: una gnappetta alta una spanna e mezza, con un caschettone rosso, una salopette verdona e uno sguardo irriverente, che corre sui prati all’Alpe di Siusi.
Questa è la mia preferita, ma potrei descriverne decine, scattate anno dopo anno, fino all’adolescenza inoltrata.
I primi ricordi reali risalgono alle prime sciate.
Anni ’80; mio padre, militare d’acciaio, non voleva sentire scuse. Si partiva presto la mattina, sci e scarponi ai piedi, pronti a fare lezione, rigorosamente con lui che non era soddisfatto finchè non arrivavi a valle in scioltezza. Un incubo, allora, ma a ripensarci oggi le labbra si increspano in un sorriso.
Il desiderio di montagna, da allora, è rimasto a lungo sotto pelle, sopraffatto dal desiderio di esplorazione, che mi ha portato in giro per il mondo e solo ultimamente è riesploso con un’enfasi incredibile.
Certo di tanto in tanto si faceva qualche escursione, d’inverno qualche ciaspolata, ma si trattava sempre di episodi isolati.
Poi un bel giorno mi sono ritrovata ai laghi di Cancano, immersi nel Parco naturale dello Stelvio.
L’idea era di partire da Livigno, arrivare in macchina alla diga e poi fare il giro dei laghi in bicicletta; una passeggiata facile, una ventina di km, in pianura, rilassati. Peccato che la strada (l’unica strada) che arriva ai laghi sia un susseguirsi infinito di tornanti, stretti e a picco sulla vallata sottostante, un vero e proprio incubo per chi soffre la macchina come me e allora quale migliore soluzione se non tornare a Livigno in bicicletta?
Dai laghi parte un percorso di circa 20 km, che svalica la montagna attraverso il passo Alpisella, affatto facile, ma gestibile, anche per chi come me non aveva mai utilizzato una mtb,
E allora via! Il dubbio è durato poco più di un attimo; piuttosto che tornare indietro in macchina meglio affrontare la montagna.
E che montagna! Una montagna faticosa. Niente a che vedere con le passeggiate a piedi assaporate fino a quel momento.
La bici in montagna è qualcosa di inimmaginabile.
Non è solo faticosa.
E’ adrenalinica. Ti richiede un impegno stratosferico per salire e poi ti richiede un impegno doppio per riscendere.
Ma la soddisfazione che ti regala quando arrivi in fondo è inimmaginabile.
Da quel momento il richiamo della montagna è tornato prepotentemente, insieme al desiderio di viverla in sella ad una bicicletta.
Dapprima una mountain bike, poi una fat bike.
Ebbene si.
Perché elemento imprescindibile dalla montagna, almeno dalla mia montagna, è la neve.
Quel manto candido e ovattato che ricopre tutto, confondendo l’orizzonte e lasciando spazio ad un silenzio infinito.
Fino a due anni fa non avrei mai pensato di poter godere di quel silenzio in sella ad una bici. E invece ho scoperto che “bastano” due ruote grasse e una volontà di ferro per riuscire a macinare chilometri su manti innevati.
E quale miglior scuola delle montagne Abruzzesi per imparare pedalare sulla neve.
A sud la Majella, con le sue cime che guardano sempre il mare, esposte e ventose. Subdole e insidiose come raccontano coloro che le hanno sfidate.
A Nord il Gran Sasso, Sua Maestà (come viene solitamente ribattezzato), con le sue vette aspre e acuminate da un lato,e i suoi altopiani gelidi dall’altro.
Entrambi d’inverno offrono ai fat-bikers molteplici percorsi, di varia difficoltà e per lo più “vergini” visto che gli amanti di questa disciplina, in Abruzzo si contano sulle dita di una mano (…forse 2).
Quando i pianeti si allineano, le temperature scendono quanto basta e il manto nevoso avvolge tutto con il suo silenzio, il cuore inizia a pulsare e la voglia di pedalare diventa irrefrenabile.
Il Piccolo Tibet bianco e immacolato rappresenta la massima aspirazione ….. ma ahimè può rivelarsi, anche lui, ostico e impedalabile.
Perché pedalare sulla neve non è così semplice come sembra; la neve deve essere compatta al punto giusto, non farinosa, non troppo acquosa, ma, allo stesso tempo non gelata (onde evitare rovinose cause).
Ci sono voluti due anni per cominciare ad avere una certa dimestichezza con la fat-bike.
Scegliere i giusti rapporti.
Sgonfiare le ruote al punto giusto.
Capire dove andare a poggiare le ruote.
Trovare un fondo compatto e pedalabile, ma evitare il ghiaccio.
Due anni di attese della nevicata; del momento giusto per prendere e avventurarsi, anche in solitaria, anche quando tutti, a partire dal tuo maestro, ti dicono che da soli MAI.
Perché da soli, soprattutto quando ci si avventura sull’Appennino Abruzzese, si rischia di restare isolati.
I telefoni non prendono.
I pastori abruzzesi (quelli bianchi e pelosi a guardia delle greggi e generalmente poco simpatici) abbondano.
E allora meglio non rischiare.
Ma quando si è testoni e forse irresponsabili, come la sottoscritta, a volte si parte anche in solitaria, perché il richiamo della neve e di certe situazioni è più forte dei consigli e dei buoni propositi.
E tale e tanta è la voglia di andare e di provare che a volte, anche chi prova ad arginare i tuoi entusiasmi non riesce.
E così ti ritrovi in cima al Gran Sasso, ancora innevato, ad affrontare la fatidica “Traversata bassa”!
Un viaggio che partendo dal rifugio Duca degli Abruzzi , attraverso le creste che dominano la piana di Campo Imperatore, scendendo attraverso l’epica Val Maone ti porta a valle in un viaggio adrenalinico e al di sopra di qualunque aspettativa,
La montagna è così
Ti cattura.
Ti ruba l’anima.
E non riesci più a smettere.
Dopo due anni il desiderio di esplorazione è esploso.
Prossima dimensione: i trail.
Vivere la montagna a 360 gradi, godendo anche dei cieli stellati che solitamente non riusciamo a goderci, assaporando il ritorno all’essenziale.
Un sogno.
Una necessità in un mondo che ormai si basa sull’ostentazione di tutto ciò che è superfluo.
Siamo pronti.
Bici in spalla
Montagne in sella